“La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti. Spiegava don Milani, avendo davanti a sé figli di contadini che sembravano inesorabilmente destinati a essere estranei alla vita scolastica: ‘Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose’. Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando nella cerimonia dei cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani a Barbiana, località nel comune di Vicchio (Firenze) dove il priore, autore di “Lettera a una professoressa”, fondò nel 1954 una scuola per insegnare con un metodo pedagogico innovativo ai bambini della zona. – continua sotto –
“La scuola di Barbiana durava tutto il giorno. Cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri. Cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico. Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere a tacere qualcuno, tanto meno un libro o la sua presentazione. Insomma, invitava a saper discernere”, ha sottolineato Mattarella.
“La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine”, ha spiegato il presidente della Repubblica. “‘Lettera a una professoressa’ ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese – ha aggiunto -. Ha aiutato a comprendere meglio i doveri delle istituzioni e sollecitato a considerare i doveri verso la comunità. Sempre più insegnanti hanno lavorato con passione per attuare i nuovi principi costituzionali. Perché a questo occorre guardare. La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti”.
Don Milani – continua nel suo ricordo Mattarella – “invitava a saper discernere. Quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo ‘L’obbedienza non è più una virtù’ e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Padre David Maria Turoldo, amico di don Milani, disse di lui che ‘diventando disobbediente’ in realtà obbediva a principi e regole ancora più profonde e vincolanti. Non certo a un capriccio o a una convenienza. Non c’era integralismo nelle sue parole, piuttosto radicalità evangelica”.
“Aveva un senso fortissimo della politica don Lorenzo Milani. Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era il suo vangelo laico”, ha sottolineato Mattarella. È stato “un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva. Il suo ‘I care’ è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza. A quella espressione se ne accompagnava un’altra. Diceva: ‘Finché c’è fatica, c’è speranza’. La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire. E lui ha percorso un vero cammino di costruzione”, ha aggiunto Mattarella, chiudendo il suo intervento in ricordo della figura dell’educatore.