Aversa (Caserta) – Il presepe vivente, al di là dei racconti che vengono fatti, non fu realizzato da San Francesco che, avendo visto in un viaggio a Betlemme una rappresentazione della nascita di Gesù, chiese al Papa Onorio III di poterne fare una anche lui in una grotta di Greccio, un comune in provincia di Rieti. Il Papa non lo consentì perché all’epoca non era possibile effettuare rappresentazioni sacre ma lo autorizzò a far celebrare messa all’interno della grotta dove fu posta una mangiatoia, con un bue e un asino, che venne utilizzata, nel 1223, come altare per la celebrazione natalizia. – continua sotto –
Solo in seguito il presepe acquistò la forma attuale con il Bambin Gesù nella greppia, San Giuseppe e Maria Vergine accanto, con il bue e l’asinello. Però, secondo la tradizione provenzale, suffragata da testimonianze scritte, già nel 1200, ad opera di Madre Pica, in Francia venivano effettuate rappresentazioni di scene di vita religiosa sia nelle regioni della Provenza che in quella della Lingua d’Oc, cosicché i francesi vantano di essere stati loro gli inventori del presepe.
Al di là della paternità di chi sia stato l’inventore del presepe vivente per la presenza di figuranti che impersonano i protagonisti dell’evento miracoloso, vale la pena assistere alle rievocazioni proposte un po’ dappertutto in Italia e in particolare in Campania. Una tra queste è quella proposta dalla parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli, su iniziativa del parroco don Giuseppe Marmorella. Una rappresentazione della nascita di Gesù che ha inteso celebrare la ricorrenza degli 800 anni dalla nascita di quello che unanimemente viene indicato come il primo presepe vivente voluto nel 1223 da San Francesco.
L’iniziativa ha ottenuto enorme successo, sottolineato dal messaggio di ringraziamento trasmesso a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento. “A tutti il mio grazie. Per la presenza a chi ci è stato; per il sostegno a chi ha lavorato sodo e ce l’ha messa tutta; per l’intraprendenza a chi ha deciso di mettersi in gioco; per la generosità a chi ha contribuito materialmente affinché il tutto si realizzasse nella maniera più bella possibile” scrive il sacerdote. “Sono fiero e orgoglioso – aggiunge don Giuseppe – di essere il vostro parroco, perché sempre quando dobbiamo essere comunità, malgrado le fragilità di ognuno, viviamo quella comunione profonda che ci fa sentire un cuor solo e un’anima sola”.