Trattamenti di sostegno vitale e suicidio assistito: Lucio Romano commenta la sentenza della Corte Costituzionale

di Redazione

«Che cosa si intende per trattamenti di sostegno vitale? È possibile e quando sospenderli? Sono solo alcuni dei più problematici e attuali interrogativi presi in considerazione dalla recente sentenza della Corte costituzionale (numero 135/2024). Che riprende e ribadisce la precedente pronuncia (numero 242/2019). A fronte di un dibattito bioetico che tende a contrapporre posizioni interpretative confliggenti. Da un lato coloro che ritengono una svolta aperturista della Corte, dall’altro coloro che invece ritengono la stessa troppo cauta oppure spinta troppo avanti». Lo dichiara Lucio Romano, docente di bioetica, Senatore della Repubblica nella XVII Legislatura e già componente del Comitato Nazionale per la Bioetica.

«Quanto mai necessario l’intervento e la responsabilità del legislatore. Infatti, la stessa Corte stigmatizza ancora una volta la perdurante assenza di una legge che possa regolamentare materia così complessa e divisiva. Nel rispetto delle prerogative parlamentari, si sollecita un intervento che assicuri una concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalle stesse pronunce della Consulta», prosegue Romano.

«Indispensabile affrontare il problematico tema dei trattamenti di sostegno vitale. Al quale la Corte ha già provveduto indicando criteri e modalità. Premesso che, comunque, l’ostinazione irragionevole dei trattamenti non risponde a criteri di liceità né biomedici, né bioetici, né giuridici e né deontologici. E su quest’aspetto concordano le diverse bioetiche, sia quelle di ispirazione liberale che quella personalista cattolica. Ma non proseguire nell’ostinazione irragionevole dei trattamenti, a sua volta, non significa però abbandonare il paziente. Ciò richiama, piuttosto, l’importanza dell’alleanza di cura nella fiducia che incontra la coscienza, del concreto ricorso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Il vero antidoto alle sofferenze e alle richieste eutanasiche o suicidarie. Insomma, si richiede quella indispensabile “prossimità responsabile” per pazienti sempre curabili per quanto inguaribili. Perché non praticare un’ostinazione irragionevole non significa certo desistenza curativa», ribadisce Lucio Romano, autore di un articolo sui Trattamenti di Sostegno Vitale, pubblicato sull’autorevole rivista “Corti Supreme e Salute”.

«La pubblicazione in questi giorni del “Lessico del fine vita”, a cura della Pontificia Accademia per la Vita, è un efficace supporto – conclude Lucio Romano – per una più diffusa conoscenza di temi così complessi. Riportando il Magistero della Chiesa, con i più recenti documenti e pronunciamenti, si forniscono risposte chiare ai più pressanti interrogativi».

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