Aversa, la lettura rende liberi: nella Casa di Reclusione i detenuti potranno diventare bibliotecari

di Antonio Taglialatela

Aversa (Caserta) – La lettura rendere davvero liberi ad Aversa, una città profondamente segnata nella sua storia dalla presenza di importanti istituzioni che si sono radicate e succedute nel tempo: tra queste il primo ospedale psichiatrico giudiziario d’Italia, nel 1876, riconvertito, dopo la chiusura definitiva degli Opg, nell’attuale Casa di Reclusione intitolata a Filippo Saporito.

Da un incontro tra la libreria sociale “Il Dono” e il Cesp – Centro Studi per la Scuola Pubblica è nata così l’idea, accolta con favore dalla direzione della struttura penitenziaria, di promuovere il corso di “Biblioteche innovative in carcere” con l’obiettivo far acquisire ai detenuti conoscenze e competenze di lettura, scrittura e comunicazione spendibili in ambito lavorativo una volta tornati in libertà.

L’iniziativa è stata presentata nella casa di reclusione aversana, alla presenza di autorità, direttori di istituti penitenziari, dirigenti scolastici, docenti ed esponenti del mondo della cultura e dell’associazionismo. Oltre 100 i libri nel frattempo donati alla struttura dalla libreria “Il Dono” di Aversa nata diciotto anni fa dal progetto del professor Fortunato Allegro che, durante il periodo dell’emergenza rifiuti della città, nel 2008, creò un circuito di raccolta, recupero e messa a disposizione di libri destinati al macero o abbandonati che, una volta arrivati nella libreria, vengono sistemati e poi distribuiti a ospedali, carceri, parrocchie, scuole e famiglie non abbienti. Ad oggi la libreria, situata nei locali al pian terreno del Palazzo Gaudioso, sede della Biblioteca Comunale, ha circa 60mila volumi, molti dei quali, però, pur se adeguatamente sistemati su librerie e scaffalature, devono essere inventariati e classificati. E qui potrebbe esserci l’impiego dei detenuti formati nel corso del progetto. “Una volta formati – spiega Allegro – i detenuti potrebbero essere utilizzati come operatori di biblioteca presso l’istituto penitenziario di appartenenza e, quando gli sarà consentito, in biblioteche pubbliche e private. Ciò per dimostrare come la fase di redenzione attraverso la scrittura, e prima ancora con la lettura, sia una proposta concreta”.

C’è stato anche un confronto tra i docenti che insegnano nelle carceri, appartenenti alla “rete delle scuole ristrette” fondata dal Cesp, presieduto da Anna Grazia Stammati, che ha coordinato i lavori: “Le biblioteche innovative in carcere è uno dei progetti delle ‘scuole ristrette’ e può costituire un elemento comune per favorire un trattamento consapevole, fruttuoso, che possa collocare i detenuti anche da un punto di vista lavorativo una volta usciti dal carcere”. A tal proposito, il dibattito è stato arricchito dal contributo di un detenuto in semilibertà, Pierdonato Zito, riuscito a conseguire la laurea in Scienze sociali alla Federico II e autore di due libri (“Indimenticabile padre: ricordi di un ergastolano” e “I colori nel buio”), che ha parlato anche delle difficoltà che incontrano i detenuti nel ricollocamento lavorativo: “Abbiamo trasformato una piccola cella, uno spazio detentivo, in uno spazio di crescita, di trasformazione, che è stato la mia aula universitaria. Effettivamente, c’è una grande criticità nella ricollocazione sul territorio di provenienza di persone che sono state coinvolte sul piano giudiziario. Ma in realtà, in questo caso, le istituzioni dovrebbero favorire la realizzazione dell’articolo 27 della Costituzione, quindi restituire alla collettività una persona che non è più un pericolo sociale ma è una risorsa sociale”.

Il professor Lucio Romano, docente di Bioetica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, già senatore della Repubblica, ha ricordato “le testimonianze di detenuti, ed ex detenuti che, attraverso lo studio in carcere, attraverso i libri, attraverso la biblioteca, si sono riscattati sia sotto il profilo interiore che evidentemente anche nelle possibilità successive di inserimento del lavoro”.

“La garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo non può venire soltanto dall’amministrazione penitenziaria, ma deve essere il risultato di un’azione collegiale che ci vede tutti uniti: le scuole, le biblioteche, la cultura che deve entrare in carcere”, ha affermato la provveditrice dell’Amministrazione penitenziaria per la Campania, Lucia Castellano, sottolineando come la casa di reclusione di Aversa sia all’avanguardia: “Pensiamo soltanto ai detenuti che fanno da Cicerone per il Museo Criminologico nelle giornate del Fai. Sono esperienze straordinarie, non soltanto per i detenuti ma anche per noi che lavoriamo tutti i giorni con loro. Finalmente ci apriamo, finalmente diventiamo tutti delle risorse per l’esterno”.

Leggere fa sicuramente acquisire uno sguardo critico e una libertà di pensiero rispetto a chi non gode di una libertà materiale, ha sostenuto la direttrice della casa di reclusione, Stella Scialpi: “Diceva Proust che chi legge un libro legge sé stesso e attraverso questo riconoscersi c’è un ripensamento delle proprie scelte passate rispetto a cui potranno, attraverso questo processo di consapevolezza, di apertura mentale, di acquisizione di un nuovo punto di vista sul mondo tornare in società dove, però, si spera, possano avere delle risposte concrete a questa loro nuova dimensione. E per concrete intendo il lavoro, il recupero, la riabilitazione, la risocializzazione. Ecco, su questo punto, ritengo che la lettura sia davvero il primo passo”. IN ALTO IL VIDEO

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