Frode Iva da 3,5 milioni con false fatturazioni, imprenditore condannato dopo patteggiamento

di Redazione

Una maxi evasione da oltre 3,5 milioni di euro di Iva, orchestrata attraverso un collaudato sistema di false fatturazioni tra Italia e Paesi comunitari, è stata smascherata dalla Guardia di Finanza di Varese. Al centro della vicenda un imprenditore di 56 anni, originario del Varesotto, titolare e legale rappresentante di due aziende leader nella distribuzione di materiale elettrico tra Lombardia ed Emilia Romagna.

L’inchiesta, condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle Fiamme Gialle, ha preso avvio da due distinte verifiche fiscali eseguite proprio nei confronti delle imprese facenti parte del gruppo. Un’indagine che ha fatto emergere un articolato meccanismo di frode, messo in piedi con la complicità di diverse società italiane ed europee, attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti tra il 2017 e il 2020.

Il manager è stato denunciato alla Procura per i reati di dichiarazione fraudolenta e di emissione di fatture false. Le risultanze delle verifiche sono state trasmesse all’Agenzia delle Entrate di Varese, che ha emesso il relativo avviso di accertamento, richiedendo non solo il pagamento dell’imposta evasa, ma anche l’applicazione delle sanzioni e degli interessi maturati.

Di fronte a un quadro probatorio solido, l’imprenditore ha scelto di definire la propria posizione fiscale aderendo all’accertamento e versando all’Erario una somma complessiva di 4,2 milioni di euro, comprensiva di imposta, sanzioni e interessi. Una decisione dettata anche dalla volontà di beneficiare della riduzione di pena prevista dal patteggiamento, così come disciplinato dall’articolo 444 del codice di procedura penale.

Il pagamento integrale del debito tributario, condizione necessaria per accedere al rito alternativo, ha permesso all’imputato di avanzare la richiesta di patteggiamento prima dell’apertura del dibattimento. Accogliendo l’istanza, il giudice per l’udienza preliminare, con il consenso del pubblico ministero e constatata l’assenza di presupposti per un proscioglimento, ha applicato all’imprenditore la pena di un anno e sei mesi di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale. La sentenza è ora definitiva.

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