La crescita è zero, siamo ad un passo dalla recessione. I dati pubblicati nel Factbook 2008 mettono in evidenza lo stato di difficoltà della penisola.
Siamo il fanalino di coda dei paesi Ocse, Ue e dei sette grandi, siamo stati sorpassati da diversi Stati dellest europeo e dalla Grecia. Tutte le stime di crescita del nostro Paese sono andate a farsi benedire, la produttività è ai minimi storici, la crescita del Pil per produttività è stata inferiore dello 0,5% nel periodo che va dal 2001 al 2006, ossia quasi inesistente. I Paesi che hanno segnalato il calo più evidente, nonostante la tendenza è generalizzata, sono stati lItalia e il Portogallo, registrando un calo evidente nelle stime di crescita. I dati emersi sono ben percepibili da chi fa informazione pur non essendo specialista dei numeri. La verità si percepisce in giro, espressa dalle enormi difficoltà che operatori commerciali e produttori affrontano per tirare avanti le proprie attività. Se le commesse vanno a diminuire, poiché non cè domanda, la crescita di produttività va sempre più diminuendo. Invertire la tendenza, iniziando dal proprio paese senza attendere che si sblocchi la crisi mondiale. Bisogna trovare il modo per rimettere nelle tasche dei cittadini il potere dacquisto che gli è stato sottratto dallintroduzione delleuro. I prezzi al consumo sono troppo alti, al Paese deve essere restituito lequilibrio tra i guadagni e le uscite. Oggi le uscite sono superiori alle entrate, vuoi per il continuo aumento delle tasse da parte dei governi centrali e delle istituzioni locali, vuoi perché è la filiera che porta i prodotti allutente finale ad essere molto lunga. Proprio intorno alla filiera cè da fare un lavoro certosino, i troppi passaggi sono fonti di speculazioni e portano al continuo aumento dei beni di prima necessità. Se il produttore dinsalata vende al commerciante, successivamente il commerciante vende ai grossisti, il grossista vende al dettagliante, il dettagliante vende al cliente finale. In questo giro linsalata parte dai campi a due centesimi ed arriva allutente finale ad un euro. Questo vale per qualsiasi prodotto che viene preso in esame. Sotto accusa, oltre alla filiera, cè anche il costo dei trasporti della merce dovuto ai continui aumenti dei carburanti. Leffetto domino provocato dalla percezione che i centesimi erano povertà, hanno portato ad un inevitabile accostamento del valore della merce vicinissima o del tutto ad un euro, divenuto, con il tempo, il sostituto della vecchia mille lire. LItalia è stata svenduta pur di entrare in Europa, si è accettato un cambio che ci ha penalizzato, oltre a sottovalutare il valore della moneta piccola cartacea. Negli Stati Uniti cè sia la moneta da un dollaro che la banconota sempre da un dollaro. In Europa, al momento del travagliato passaggio alla moneta unica, non si è tenuto in considerazione il valore della banconota piccola, trovandoci tra le mani come banconota di taglio minore il cinque euro. Le banconote di piccolo taglio sono sempre state necessarie ed utili per leconomia. In Europa dovevano circolare contemporaneamente, come avviene negli Usa, la moneta e la banconota da cinquanta centesimi, oltre alle altre due monete da uno e due euro, favorendo tutti quei Paesi che non danno un valore alle monete spicciole. LItalia con la mille lire è diventata fiorente, con il cinque euro si sta impoverendo. Basterebbe mettersi daccordo tra i Paesi europei e far circolare le citate banconote. È necessario correggere questo inconveniente, poiché il fattore psicologico ha influito tantissimo sulleffetto euro, la doppia circolazione delle banconote da piccolo taglio può invertire la tendenza.