I magistrati della procura di Santa Maria Capua Vetere che hanno indagato su Clemente Mastella e hanno firmato la richiesta d’arresto di sua moglie, Sandra Lonardo, sono finiti sotto inchiesta a Roma.
Le accuse (abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, ma si parla pure di calunnia) non riguardano direttamente quel procedimento, ma vicende che a esso si intrecciano. Nelle scorse settimane il pm romano Giancarlo Amato ha inviato diversi avvisi di garanzia.
Due sono stati recapitati all’ex procuratore sammaritano Mariano Maffei (oggi presidente della commissione tributaria regionale, che dichiara: «Ufficialmente non mi risulta niente. Ma anche se fosse, questa notizia costituirebbe una grave violazione del segreto istruttorio») e al pm Alessandro Cimmino. Entrambi avevano firmato la richiesta di misura cautelare per Lonardo. Sono finiti sotto indagine anche i pm Maria Di Mauro (accusata da alcuni colleghi di conflitto d’interessi per un paio di inchieste sulla asl di cui il marito è consulente legale) e Luigi Landolfi.
Le informazioni di garanzia sono la conseguenza di una guerra intestina alla procura, con accuse di mobbing, esposti, denunce e inchieste che sono stati esaminati nei mesi scorsi dall’ispettorato del ministero della Giustizia, dalla procura generale di Napoli e dal Consiglio superiore della magistratura. E ora sono finiti sul tavolo di Amato e del collega Antonangelo Racanello che si occupa di un filone collegato.
A gennaio la procura casertana era diventata la più famosa d’Italia. Infatti, dopo aver ottenuto l’arresto di Lonardo, presidente del consiglio regionale, aveva causato le dimissioni di Mastella che hanno portato alla caduta del governo Prodi. Per l’ex guardasigilli dietro quell’inchiesta c’era un mandante politico e aveva sottolineato i rapporti di parentela di Maffei con Alessandro De Franciscis, nipote della moglie e presidente della Provincia di Caserta, ex papavero dell’Udeur passato al Pd. Ma la sua era sembrata una difesa d’ufficio. Gli avvisi di garanzia spediti dalla capitale ribadiscono, invece, che in quella procura qualcosa, forse, non funzionava per davvero.
A mettere in moto l’inchiesta è stato un esposto inviato 10 mesi fa alla procura generale di Napoli da tre magistrati di Santa Maria Capua Vetere: il procuratore aggiunto Paolo Albano, i pm Donato Ceglie e Filomena Capasso. Nel documento parlavano di «un clima insostenibile di sospetti, di comportamenti vessatori, di illecite indagini condotte su colleghi del medesimo ufficio, tra i quali gli scriventi, e di iniziative spesso estranee a qualsiasi perimetro legale di corretto esercizio della funzione giudiziaria». Comportamenti che avrebbero dilaniato la procura:
«Un tale complesso di reiterate, indebite e ingiustificabili condotte poste in essere dal procuratore Mariano Maffei, con il concorso e il sostegno di tre suoi “fidati” sostituti, i dottori Maria Di Mauro, Alessandro Cimmino e Luigi Landolfi, non poteva non riverberarsi, con conseguenze non più rimediabili, sulla serenità di molti dei magistrati in servizio, nonché sulla corretta conduzione della procura». Non basta. Per loro ci sarebbe stato un «accanimento nei confronti di coloro anche solo sospettati di non essere omologhi alla volontà di chi lo dirige».
Ora i pm romani dovranno stabilire se queste accuse siano veritiere.
Una cosa è chiara: a Santa Maria Capua Vetere nei mesi scorsi si sono fronteggiati due schieramenti di magistrati con visioni molto diverse sulla conduzione delle inchieste e su chi indagare. Da una parte Maffei e i suoi, dall’altra Albano, Ceglie, Capasso, Carlo Fucci (già segretario dell’Associazione nazionale magistrati ritenuto vicino a Mastella) e Silvio Marco Guarriello. Quasi tutti magistrati orientati a sinistra. I primi sono considerati vicini alla corrente Movimenti riuniti – Articolo3 (Cimmino è appena stato eletto nel consiglio giudiziario del distretto napoletano) e ad alcuni esponenti di rilievo della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, in particolare all’ex sostituto procuratore Raffaele Cantone, che nei giorni scorsi ha ricevuto un invito del Pd a candidarsi come presidente della Provincia di Napoli, offerta rifiutata.
I secondi sono quasi tutti iscritti a Magistratura democratica e sarebbero più autonomi rispetto al capoluogo. Come il nuovo procuratore Corrado Lembo che, la settimana scorsa, in una riunione riservata alla procura generale, ha discusso sul rispetto delle competenze con il collega della Dda Franco Roberti.
Sullo sfondo di questa guerra fra toghe ci sarebbe una faida interna al centrosinistra campano. Un legame con la politica che, se negli esposti è molto sfumato, nei corridoi della procura emerge rumorosamente. Secondo alcuni, esisterebbe un gruppo che avrebbe operato «con finalità extraistituzionali» provando a proteggere il consigliere regionale diessino (ora Udeur) Angelo Brancaccio, arrestato nel 2007 su richiesta del pm Cimmino con l’accusa di aver incassato tangenti. Altri (anche in questo caso non vengono allo scoperto) assicurano che la verità è opposta: esisterebbe, sì, uno schieramento, ma a difesa di quel De Franciscis, passato dall’Udeur al Pd, che nelle ultime inchieste, nonostante le accuse di un assessore provinciale e alcune intercettazioni (raccolte nella vicenda dei Mastella) ritenute dagli stessi investigatori «molto rilevanti», è sempre stato ascoltato solo come persona informata sui fatti.
Nel fascicolo del capo degli ispettori del ministero, Arcibaldo Miller, sono finiti pure gli estratti catastali che dimostrerebbero come la moglie di Maffei, insieme con De Franciscis, fosse tra i proprietari delle cave che negli anni scorsi sono state sequestrate da Ceglie e Guarriello.
A questo rompicapo bisogna aggiungere un’altra tessera: Giacomo Caterino, 37 anni, docente universitario di economia politica, consigliere provinciale dell’Udeur e amico di Mastella. L’anno scorso è stato arrestato con l’accusa di falso ideologico e turbativa d’asta. Un’inchiesta da cui è partita quella sull’ex guardasigilli e la moglie.
Uscito dal carcere Caterino ha denunciato Maffei, Cimmino, il pm Paolo Di Sciuva e il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Maccariello: «Quei signori avevano in mano le carte che dimostravano che i reati di cui mi accusavano andavano contestati ad altri, per esempio a De Franciscis» sostiene il consigliere, che questi attacchi li ha formalizzati.
Per questo nei giorni scorsi è stato ascoltato a Roma dal pm Racanello. E anche se la vicenda non gli ha tolto il gusto della battuta («Quando ero in prigione sono venuti a farmi visita i vertici regionali del partito. Sei mesi dopo ho potuto ricambiare la cortesia»), per lui l’Udeur in Campania è finita al centro di un complotto: «Ora, forse, qualcuno ci spiegherà se certe responsabilità erano da ascrivere a noi o a chi governa il nostro territorio con la protezione di procure amiche».
Panorama (Giacomo Amadori)