ROMA. Nel corso di un incontro con le delegazioni delle associazioni “Luca Coscioni”, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha assunto l’impegno a far si che il dibattito parlamentare sul testamento biologico si svolga nel doveroso rispetto del diritto di ogni deputato a esprimersi secondo coscienza.
Alla presenza dei delegati radicali del sodalizio, Marco Cappato, Mina Welby, Ernesto Ruffini, Simonetta Dezi e Rocco Berardo, e all’associazione “A buon diritto”, rappresentata presidente, Luigi Manconi, Fini ha anche espresso l’auspicio che il dibattito alla Camera si svolga in un clima pacato e scevro da ogni pregiudizio.
“Il presidente della Camera – riferisce Manconi – ha ricevuto da noi un dischetto contenente i nomi di oltre 3300 cittadini che hanno compilato un testamento biologico. E una prima valutazione dei dati che emergono da queste dichiarazioni di volontà. Da parte sua ha affermato con determinazione il suo impegno a garantire che l’imminente dibattito si svolga con la massima serenità e pacatezza, in un clima scevro da pregiudizi e in cui la libertà piena di coscienza di ogni singolo parlamentare sia interamente rispettata”.
I radicali hanno anche fatto presente il mancato rispetto, dal febbraio 2008, degli spazi di accesso che il servizio pubblico televisivo dovrebbe garantire alle associazioni. Fini ha infine ricevuto in dono da Mina Welby il libro “Lasciatemi morire”, di Piergiorgio Welby.
Sul tema del biotestamento il presidente Fini già si era espresso nelle settimane scorse, suscitando malumori all’interno del Pdl. E’ di oggi la notizia di una “Lettera per un disarmo ideologico”, pubblicata dal quotidiano il Foglio, in cui venti parlamentari laici del Pdl, tra cui Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico e segretario della fondazione Fare Futuro, e l’ex radicale Benedetto Della Vedova, sottolineano come nel corso del dibattito alla Camera è “preferibile e ancora possibile cambiare strada”. La lettera aperta è rivolta al premier Silvio Berlusconi a cui si chiede di invertire la rotta e approfondire la discussione prima di legiferare sul fine vita. “L’iper-regolamentazione giuridica del fine vita non contrasta solo con il senso di giustizia, ma con il senso di realtà. – scrivono i venti parlamentari – L’infinita e drammatica casistica materiale e morale che emerge nelle relazioni di cura non può essere infilata a forza in una legge fatta di norme astratte e generali”. Si chiede”una soft law che ribadisca con chiarezza il no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del fine vita, demandando al rapporto tra i pazienti, i loro familiari e fiduciari e i medici la decisione in ordine a ogni scelta di cura”.
Il segretario del Pd, Dario Franceschini, in un colloquio con l’Espresso, sulla questione precisa che “la Chiesa ha diritto di intervenire, non si può applaudirla quando parla di pace o di immigrazione e negarle la parola quando dice cose scomode sui temi etici. Ma la Chiesa non può dire a un parlamentare come deve votare: è una scelta che appartiene all’autonomia del politico. Su questo punto rivendico una coerenza: la raccolta di firme tra i deputati cattolici dell’Ulivo sulla legge sui Dico è stata considerata da molti l’atto di nascita del Pd”.