Mafia, a rischio i processi. Alfano: “Evitare allarmismi, interverremo”

di Redazione

Angelino AlfanoROMA. Una sentenza della Cassazione ritiene che nei processi di mafia, in presenza di alcune aggravanti, la pena può lievitare anche fino a 30 anni di reclusione, quindi il dibattimento deve essere tenuto davanti alla Corte d’assise, competente per i reati puniti con l’ergastolo o la reclusione non inferiore ai 24 anni.

Ciò significherebbe l’azzeramento di tutti i processi di mafia, anche quelli già chiusi con sentenze che non siano ancora definitive. La sentenza, emessa lo scorso 21 gennaio, riguarda un processo celebrato a Catania (contro Attilio Amante e altri otto imputati), in cui si erano dichiarati incompetenti sia il tribunale, con un’ordinanza del 7 maggio 2009, che la Corte d’assise, con un’altra ordinanza, datata 12 ottobre. Fino a quando la Suprema Corte ha stabilito che competente a giudicare è la Corte d’assise. La questione è stata ora sollevata d’ufficio a Palermo, dalla quarta sezione del Tribunale, la stessa davanti a cui sta deponendo Massimo Ciancimino.

A scatenare l’emergenza è stata una norma antimafia, contenuta nel pacchetto sicurezza, divenuto legge nel luglio 2008: se agli imputati di associazione mafiosa vengono infatti contestate alcune aggravanti – ad esempio essere stati “capi e promotori”, di avere agito con un’associazione armata e di avere reimpiegato in iniziative economiche i proventi di attività criminali – la pena lievita anche fino a 30 anni e dunque scatta la competenza della Corte d’assise. Questo vuol dire che, anche con effetto retroattivo, i giudizi già celebrati in Tribunale o in Corte d’appello sono potenzialmente nulli.

Il rischio, dunque, è di far saltare tutti i processi e di vedere i boss tornare liberi per decorrenza dei termini. Senza dimenticare i processi da celebrare in futuro, che potrebbero subire ulteriori rallentamenti di quelli che già normalmente affliggono la giustizia italiana. Altro rischio è quello di far giudicare reati come quelli di mafia da una maggioranza di giudici popolari, che non sono tecnici e che, soprattutto, in realtà come quelle meridionali, potrebbero essere condizionati e intimiditi.

Ad intervenire è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano: “Faremo di tutto per evitare che ci possano essere conseguenze negative e che si possa creare un grande paradosso e cioè che dall’inasprimento delle pene per i reati di 416 bis possano derivare benefici per i boss”. Per Alfano è meglio evitare “aggettivi estremi ed eccessi di ansia perché il governo dell’antimafia delle leggi e dei fatti, provvederà a fare in modo che effetti distorsivi non si verifichino. Tutti stiano tranquilli perché il governo farà in modo che non ci siano conseguenze negative nascenti da un fatto positivo”.

Dall’opposizione, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, chiede un rimedio urgente: “La sentenza della Cassazione rischia di avere effetti catastrofici sui processi in corso. Bisogna che il governo intervenga immediatamente con un provvedimento d’urgenza per ristabilire certezza normativa sulla competenza dei tribunali”.

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