L’Italia corre il rischio di diventare una nuova Argentina

di Redazione

ex area texasI recenti avvenimenti, legati alla sorte dell’ex Texas, che da qualche tempo monopolizzano l’attenzione della cittadinanza, ci danno l’occasione per riflettere sui sistemi adottati dal “capitalismo selvaggio” per liberarsi degli “ospiti indesiderati”: operai e quadri delle fabbriche da “dismettere”.

La storia che ci accingiamo a raccontare è accaduta in una nazione molto vicina al cuore degli italiani: l’Argentina. Una nazione, un tempo ricchissima, che per colpa di governanti sciagurati, s’era ritrovata, di punto in bianco, letteralmente con le “pezze al sedere”. Le ragioni tecniche di quel fallimento e le ripercussioni internazionali derivanti, sono conosciute quasi da tutti. Tra l’altro, anche un buon numero di nostri connazionali, per usare un simpatico eufemismo, s’è ritrovato con “il culo per terra” per colpa dei famigerati bond argentini.

Ma non affronteremo siffatti argomenti in questa sede. Vogliamo, invece, raccontare la storia di un fenomeno spontaneo, nato per necessità e diffusosi a macchia d’olio in tutta l’Argentina: l’autogestione delle imprese. In Argentina, come nel resto del mondo, il capitalismo avido e senza scrupoli, quello solo speculativo per intenderci, per “dismettere” una fabbrica ritenuta, a torto o a ragione, non più remunerativa (secondo parametri esclusivamente speculativi) attua la tecnica, ormai collaudata, del cosiddetto “sciopero padronale” (termine per niente diffuso in Italia) che consiste nel ribassare gradualmente i salari, effettuare licenziamenti isolati ma continui nel tempo, sospendere o limitare i diritti dei lavoratori, creare condizioni indegne di lavoro, diminuire gradualmente la produzione, ridurre lentamente ma inesorabilmente il reintegro delle materie prime, vendere i brevetti, svendere i macchinari, vendere le “mura” con gli operai dentro a ditte specializzate nella “sparizione delle maestranze”. Tutto questo avvenne in Argentina, qualche anno fa, coinvolgendo migliaia d’imprese produttive.

Quando i capitalisti d’oltreoceano fiutarono il pericolo derivante dal crollo dell’economia nazionale, iniziarono a “dismettere” tutte le attività, produttive o non adeguate ai tempi, rastrellando la maggior quantità possibile di capitali, per esportarli in paesi dall’economia più stabile. Questo comportamento meschino portò, inevitabilmente, al collasso economico. Milioni d’operai, impiegati, artigiani, piccoli imprenditori si ritrovarono poveri e senza lavoro mentre i loro “ex padroni” se la godevano, alla grande, negli Stati Uniti, in Svizzera, nel Lussemburgo, in Brasile, nelle Isole Marshall ecc. ecc. Gli argentini, però, sono un popolo duro. Non si persero d’animo e si diedero da fare per salvare il salvabile. Un gruppo di loro: i lavoratori delle Ceramiche Zanon, riuscì a dimostrare che il padrone della fabbrica era ricorso allo “sciopero padronale” per riuscire a licenziare tutte le maestranze. In una sentenza storica un Tribunale argentino dispose che le Ceramiche Zanon dovessero riaprire. Fu un trionfo per tutti gli operai che avevano duramente lottato. La fabbrica poteva essere gestita direttamente dai lavoratori. Con i loro risparmi, gli operai pagarono i debiti, fecero riallacciare l’energia elettrica e cominciarono un’incredibile esperienza: produrre per proprio conto, vendendo la produzione senza intermediari e garantendosi da soli un giusto salario. Affrontando incredibili difficoltà riuscirono a far funzionare la fabbrica. Crearono un’estesa rete di solidarietà intorno a loro ed alla “loro” fabbrica. Dopo un anno di lotte, dopo aver superato le continue minacce di sgombro e l’attacco delle forze paramilitari pagate dagli ex proprietari, iniziarono addirittura ad assumere altri operai.

Ma l’ex padrone ricorse a tutti i suoi “amici” per gustare la festa ai lavoratori. Se intorno alle famiglie degli operai c’era la solidarietà di tutta la società sana, intorno all’imprenditore si raggrupparono tutti gli speculatori, gli affaristi ed i corrotti della nazione. Tra questi alcuni politici “illustri” che erano stati eletti alle cariche più alte dello Stato. Con la complicità di questi loschi figuri, gli ex proprietari tentarono più volte di riprendersi quello che, per interesse, avevano fatto morire e che, per caparbietà e necessità, gli operai avevano fatto rinascere. Ma i lavoratori della Zanon avevano capito che la lotta non era solo contro di loro. I potentati lottavano per impedire che l’idea dell’autogestione dilagasse in tutta l’Argentina. Cosa che puntualmente avvenne. Le Ceramiche Zanon, la più grande fabbrica di ceramiche dell’America Latina e gli operai che l’avevano fatta rinascere, erano diventati un modello da imitare. Gli storiografi ricorderanno quello che è avvenuto alle Ceramiche Zanon come il simbolo di un’epoca. Uomini e donne che si ripresero la dignità con le proprie mani e non la vollero più perdere.

L’inizio, forse, della fine di un’era: l’era della schiavitù.

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