REGGIO CALABRIA. Beni per un valore di 330 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza a un noto imprenditore di Reggio Calabria, Gioacchino Campolo, conosciuto come il ”re dei videopoker”, …
… e legato, secondo gli investigatori, a vari esponenti della ‘ndrangheta reggina. Tra i beni sequestrati figurano 260 unità immobiliari. L’operazione, denominata, ”Les Diables”, è stata condotta dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Reggio Calabria, in coordinamento con lo Scico di Roma. Il provvedimentoè stato disposto dal presidente dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione misure di prevenzione, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Campolo, 71 anni, è stato arrestato il 13 gennaio 2009 edè attualmente detenuto nel carcere di Vibo Valentia con l’accusa di estorsione aggravata dalla finalità di favorire le cosche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Per Campolo ed altre 12 persone, nel giugno scorso, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per associazione per delinquere, riciclaggio, frode fiscale, intestazione fittizia di beni e falso. I dettagli dell’operazione verranno resi noti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 11 nella sede del comando provinciale di Reggio Calabria della guardia di finanza alla quale parteciperà il procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone.
TELE AUTENTICHE, TRA CUI DALI’ E GUTTUSO. Quadri di Salvador Dalì (“Giulietta e Romeo”), Renato Guttuso (“Nudo femminile 1971”), Giorgio De Chirico (“Piazza d’Italia” e “Il burattino”), Migneco, Cascella, Ligabue. Tutte opere rigorosamente autentiche, che Campolo aveva appeso alle pareti della sua abitazione di Reggio Calabria e che gli sono state sequestrate dalla Guardia di finanza nel corso di un’operazione condotta all’alba. Tutti i dipinti sono stati portati in un caveau della Soprintendenza dei Beni archeologici della Calabria. Oltre ai dipinti, nel mirino della Guardia di finanza sono finiti circa 260 immobili, di cui 240 a Reggio Calabria, ed il resto a Parigi, in place Vendome, la celebre piazza su cui si affacciano i più famosi gioiellieri del mondo e il ministero di Giustizia della Francia; una villa di ventisei stanze sull’Aventino, a Roma, mai abitata; appartamenti in via Ludovisi, ai Parioli, a Roma e poi a Milano e a Taormina. Complessivamente, il valore stimato dei beni sequestrati ammonta a oltre 330 milioni di euro.
I RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA.
Campolo espletava in regime di monopolio l’attività di gestione dei videopoker attraverso la sua società, la A.R.E., grazie ai rapporti che intratteneva, secondo gli inquirenti, con numerosi esponenti delle cosche della ndrangheta di Reggio Calabria, in particolare con la cosca Zindato, federata ai Libri. E’ lo stesso Campolo, in alcune discussioni intercettate, ad affermare di conoscere diversi soggetti appartenenti alla cosca. In una conversazione a Roma, Campolo vanta la conoscenza con uomini importanti del clan Libri, compreso il defunto patriarca don Mico. In un’altra intercettazione, Campolo racconta anche di un progetto omicida ai suoi danni. A progettarlo sarebbe stato Giovanni Tegano, il boss arrestato poco tempo fa dalla squadra mobile di Reggio dopo una lunga latitanza, per facilitare i propositi di un parente che voleva espandersi nel settore dei videogiochi. E’ lo stesso “re dei videogiochi” a raccontare poi, in un colloquio intecettato, di essersi salvato grazie all’intervento di Orazio De Stefano, dell’omonima cosca.
Anche negli anni della guerra di mafia tra il 1985 ed il 1991, Campolo si era sentito in pericolo, tanto da arrivare a blindare ufficio, abitazione e auto. L’imprenditore, secondo l’accusa, aveva rapporti anche con i De Stefano. La nuora, in un colloquio intercettato, arriva a interrogarsi sulla fine che avrebbero fatto i suoi beni dopo la morte, indicando i De Stefano come possibili beneficiari.
Dalle indagini della Guardia di finanza, sono emersi anche elementi su presunti rapporti di Campolo con Paolo Iannò, ex killer della cosca Condello e oggi pentito, e l’imprenditore Nino Princi, morto nel 2008 dopo una settima di coma in seguito all’esplosione della sua auto a Gioia Tauro. Princi, genero di Domenico Rugolo, boss dell’omonima cosca di Castellace, nella Piana di Gioia Tauro, incontrò Campolo poco prima della morte, per discutere della collocazione dei videopoker all’interno di un centro commerciale a Rizziconi. Dalle indagini è emerso anche che Campolo, titolare della ditta A.R.E., avrebbe costretto i dipendenti ad accettare stipendi inferiori al dovuto e, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti. Inoltre, grazie ai suoi legami con esponenti dei clan, Campolo avrebbe imposto il noleggio dei propri apparecchi da gioco.