Libia, Frattini: “Gheddafi vada via. Trattato non vincola Italia”

di Redazione

 Franco FrattiniTRIPOLI.Dopo quelle firmate dal presidente Obama, contro il regime di Gheddafi arrivano anche le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si è espresso domenica notte approvando all’unanimità la risoluzione 1970.

“Spero che il messaggio sia ascoltato e preso in considerazione dal regime in Libia” ha commentato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, congratulandosi per il voto unificato, un voto – ha detto – che “manda un messaggio forte che le gravi violazioni dei diritti umani di base non possono essere tollerate”. Poco prima Ban aveva chiamato il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi per discutere le opzioni disponibili per risolvere la crisi e chiedere “il continuo appoggio dell’Italia e un suo ruolo attivo per un’azione decisiva”. Anche la Russia prende posizione: in una telefonata al collega libico Musa Kusa, il ministro degli Esteri di Mosca Serghiei Lavrov ha condannato l’uso “inaccettabile” della forza contro i civili. E dopo quella di Washington c’è la dura presa di posizione di Londra: il ministro degli Esteri William Hague ha detto che Muammar Gheddafi se ne deve andare. La Gran Bretagna ha quindi revocato l’immunità al colonnello e ai suoi figli, “per far capire qual è la nostra posizione sul suo status di capo di Stato” ha spiegato Hague.

Intanto, dura la presa di posizione del ministro degli Esteri italianoFranco Frattini, secondo cui la situazione in Libia è a un “punto di non ritorno” ed è “inevitabile” che Gheddafi se ne vada: “Non avevamo mai visto situazioni in cui il capo di un regime dà ordine di uccidere i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle, assoldando addirittura dei mercenari”. La stessa richiesta di una cessione del potere da parte del Raìs è stata formulata da Stati Uniti e Gran Bretagna. Frattini ha spiegato che l’Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere azioni nei confronti della Libia derivante dall’accordo di amicizia tra Roma e Tripoli perché “la sospensione di fatto del trattato è già una realtà”.

Quanto ai rapporti che legano il nostro Paese alla Libia ha sottolineato: “L’Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere azioni nei confronti della Libia derivante dal Trattato di amicizia tra Roma e Tripoli (firmato da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto del 2008 a Bengasi, ndr). Quando viene meno l’interlocutore -viene meno l’applicabilità dei trattati. Già ora noi non abbiamo più interlocutori e la sospensione di fatto del Trattato è già realtà”.

Per il titolare della Farnesina, inoltre, l’istituzione di una no fly zone sulla Libia “è un’opzione molto importante”, uno “strumento fondamentale” per “evitare rappresaglie con bombardamenti aerei o con bombardamenti di elicotteri. E’ un’opzione che porta a un’escalation vera e propria di un intervento anche armato di forza in Libia, ecco perché occorre ancora uno spazio di riflessione”.

Infine, sul rientro degli italiani Frattini ha detto che in Libia ne restano “davvero pochi “e la Farnesina sta effettuando con il ministero della Difesa “nuovi tentativi per riportarli a casa”. Nel nostro Paese, ha spiegato, “siamo già a 1.400 rientrati in Italia, su 1.470-1.480” italiani che erano presenti . “Alcuni, poi, va detto, non hanno chiesto di rientrare e noi non possiamo prelevare forzatamente quelli che non vogliono farlo”, ha concluso il ministro.E’ attraccata nel porto di Catania la nave San Giorgio della Marina militare italiana con 258 persone, tra cui 121 italiani, che hanno lasciato la Libia. A bordo, con 250 uomini di equipaggio al comando del capitano di vascello Enrico Giurelli, ci sono complessivamente 258 passeggeri di diverse nazionalità tratti in salvo dalla nave della Marina Italiana nel porto libico di Misurata. Oltre ai 121 italiani, ci sono cittadini inglesi, francesi, belgi, olandesi, austriaci, turchi, albanesi, macedoni, portoghesi, slovacchi, ucraini, croati, romeni, indiani, messicani, thailandesi, filippini, marocchini, tunisini, algerini, della Tanziania, delle isole Mauritius e anche un libico che ha preferito lasciare il suo paese.

Il documento dell’Onu (volto a “deplorare la grave e sistematica violazione dei diritti umani, tra cui la repressione di manifestanti pacifici”) prevede il blocco dei beni del Raìs e di alcuni suoi familiari e dignitari, l’embargo alle vendite di armi e un possibile coinvolgimento della Corte penale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra o contro l’umanità. L’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu Susan Rice ha sottolineato che la risoluzione fa riferimento all’articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale nel caso si mostrasse necessario. I membri del Consiglio hanno espresso preoccupazione per le morti di civili, “respingendo inequivocabilmente l’incitamento alle ostilità e alla violenza contro la popolazione condotto dagli alti gradi del governo libico”.

Per ottenere un'”azione decisiva”, ovvero porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del Consiglio, in linea con l’Unione Europea, hanno stabilito sanzioni dirette contro Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di “congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui”. Ci sono poi l’embargo sulle forniture di armi e il deferimento alla Corte dell’Aja. Secondo i quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell’eccidio in qualità di “comandante delle forze armate”, vanno colpiti anche due suoi cugini: Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di “operazioni contro i dissidenti libici all’estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche”, e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, “coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell’Europa”. Presi di mira anche il capo delle forze armate Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa Abu Bakr Yunis, il capo dell’antiterrorismo Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell’intelligence.

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