ROMA. So che l’assassinio di Salvo Lima fu inquadrato come reazione mafiosa al maxiprocesso. L’ha detto il sottosegretario Gianni De Gennaro, all’epoca dei fatti ai vertici della Dia, rispondendo come teste all’udienza preliminare per il processo della trattativa Stato-mafia in corso nellaula bunker di Rebibbia.
De Gennaro ha citato un appunto che uscì dopo Capaci che inserisce entrambe le circostanze in un’unica strategia di attacco mafioso in una logica di reazione alle condanne definitive del maxiprocesso.
Ascoltato dal gup di Palermo Piergiorgio Morosini, De Gennaro ha sostenuto di non avere un preciso ricordo dell’omicidio Lima, se non sul fatto che venne inquadrato in una sorta di reazione della criminalità mafiosa dopo il maxiprocesso.
Ipotesi rafforzata dopo l’omicidio di Giovanni Falcone: Dopo Capaci – ha spiegato – anche l’omicidio Lima si inserisce in un’unica strategia di attacco mafioso. Non ricordo pericoli di attentati a Mannino, l’ex ministro democristiano imputato nel procedimento.
Secondo l’accusa, Mannino si sarebbe attivato per la trattativa nel timore di essere ucciso dalla mafia. Lex capo della polizia ha poi aggiunto che c’era uno stato di incertezza nell’attribuire gli attentati del ’93. L’attribuzione della matrice mafiosa non fu facile.
E ha sottolineato che nelle stragi la logica era quella della stabilizzazione. De Gennaro ha poi ricordato una nota della Direzioneinvestigativa antimafia del 10 luglio del 1993 in cui si segnalava la strategia di pressione sullo Stato. Gli apparati investigativi – ha aggiunto – si erano prefigurati l’escalation di altri attentati.
Molti detenuti – ha detto De Gennaro – si pentirono probabilmente perché non sopportavano le restrizioni carcerarie del 41 bis. Dopo l’omicidio Borsellino, si pensò di trasferire Luciano Liggio all’Asinara a mo’ di ammonimento.