Marò, “liberato” ambasciatore italiano. La stampa ipotizza pena di morte

di Redazione

 ROMA. Una buona notizia arriva dall’India, che tuttavia non cambia la posizione dei due marò. L’ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, è stato dichiarato “libero” dopo la revoca dell’ordinanza che gli impediva di lasciare il Paese.

L’udienza è stata aggiornata al 16 aprile prossimo. Mancini era stato raggiunto dal provvedimento restrittivo dopo che l’Italia non aveva, in un primo momento, ottemperato al ritorno in India di Latorre e Girone, a cui le autorità di New Delhi avevano concesso un rimpatrio provvisorio, fino il 22 marzo, in occasione delle elezioni politiche del 24 febbraio. Un tira e molla che ha provocato le dimissioni del ministro degli Esteri italiano, Terzi.

Intanto, il procuratore generale della Repubblica, Goolam Essaji Vahanvati, fa sapere che il governo indiano sta assumendo iniziative per la costituzione di un tribunale ad hoc, senza però fare riferimento all’ipotesi di assegnare una nuova inchiesta alla Agenzia Nazionale di Investigazione (Nia) come trapelato da fonti del ministero dell’Interno riprese dalla stampa.

Da quanto si apprende, se se la Corte Suprema indiana accettasse la proposta del ministero dell’Interno di affidare un’indagine totalmente nuova alla Nia la situazione giuridica dei marò potrebbe tornare ad essere molto complessa, e non potrebbe essere esclusa neppure una richiesta di applicazione della pena di morte.

The Indian Express, che titola “Marinai italiani: la Nia invocherà la Legge marittima che prevede la pena di morte”, sostiene senza mezzi termini che l’agenzia creata dall’India per esaminare casi di terrorismo, oltre alla sezione 302 del Codice penale indiano (omicidio) “potrebbe invocare immediatamente la Legge sulla soppressione degli atti illegali contro la sicurezza della navigazione marittima”. Questa legge, ricorda il quotidiano, prevede che “se una qualsiasi persona causa la morte di una persona sarà punita con la pena di morte”. Anche l’Hindustan Times sottolinea che “la Nia invocherà leggi dure contro i marò”. Oltre a prevedere pene molto dure, conclude il quotidiano, la legge “rende molto difficile la concessione della libertà dietro cauzione per gli imputati” che dovrebbero quindi attendere in carcere il verdetto.

A seguire il lavoro dei legali indiani di Latorre e Girone (accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli, come da loro dichiarato per pirati) è l’avvocato dello Stato Carlo Sica che rende noto: “L’Italia desidera che il caso dei marò sia trattato dalla giustizia indiana nell’ambito di un processo rapido ed equo”. “Si deve tenere conto – ha aggiunto Sica – che i due marò sono in India da ormai 14 mesi e che ancora non siamo giunti all’esame del merito della vicenda”.

L’avvocato di Stato sottolinea che i due marinai sono bloccati in India soltanto da una denuncia del proprietario del peschereccio, dopo che la Corte Suprema il 18 gennaio scorso ha invalidato tutto quanto fatto dalle autorità dello Stato del Kerala per mancanza di giurisdizione. In riferimento al giudice monocratico designato dall’Alta Corte di Delhi, Sica ha osservato che “avremmo preferito un giudice collegiale, ma accettiamo anche quello monocratico, purché si vada avanti”.

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