Venezia. Si allarga ancora linchiesta Mose. Dopo i 35 arresti del 4 giugno, un centinaio di indagati e quaranta milioni di beni sequestrati a titolo preventivo, si continua a scavare per portare alla luce i dettagli di quella che laccusa definisce una rete di malaffare che andava avanti da anni.
Lunedì 9 giugno i magistrati hanno sentito di nuovo Giorgio Orsoni, il sindaco di Venezia finito ai domiciliari. Il contenuto dellinterrogatorio è top secret. Ma dalle carte spuntano nuovi nomi illustri.
I tre super testimoni dellinchiesta sono Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Piergiorgio Baita, ex Mantovani, e Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan quand’era presidente del Veneto. Sarebbero stati loro a tirare in ballo nomi di spicco di governi passati. Come gli ex ministri Giulio Tremonti e Pietro Lunardi e lex sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta (che ha annunciato querele). Tutti e tre negano ogni coinvolgimento, non risultano indagati e non saranno sentiti a breve.
“Ci vuole proprio molta fantasia per trasformare un normale e doveroso contatto istituzionale in una richiesta o, peggio, in un versamento, e inventare così una favola come quella attribuita alla signora Minutillo”, ha detto Gianni Letta, che ha dato incarico ad un avvocato di procedere in via legale a tutela della sua reputazione”.
“Nella realtà non esistono né richieste né versamenti. Non sono mai esistiti, mai pensati e neppure immaginati. Per fortuna non sono io a doverlo dire, dal momento che prima di me, l’ha scritto con chiarezza il gip di Venezia”, ha aggiunto lex sottosegretario.
Secca anche la reazione di Lunardi: “Non ho mai avuto nulla a che fare con il Mose. Non ho mai voluto che il mio studio si occupasse di quell’opera. E come ministro me ne sono interessato solo perché il Mose a suo tempo fu inserito, al pari di altre 250 altre opere pubbliche, nella Legge Obiettivo”.
Il quotidiano La Repubblica, poi, ha pubblicato delle citazioni dai verbali di interrogatorio di Baita in cui si tira in ballo anche Niccolò Ghedini. “Se dovesse essere provato, ma è impossibile ha dichiarato lavvocato che un solo euro mi fosse pervenuto per la mia attività politica per la quale, è fatto notorio, ho sempre pagato personalmente, sono pronto a dimettermi immediatamente da senatore”.