Roma. Era stata condannata a morte in Sudan per aver rinnegato la fede musulmana ed essersi convertita al cristianesimo.
Prima di essere rilasciata ha trascorso alcuni mesi in carcere dove ha partorito, con le gambe legate, il suo secondo figlio. Oggi è finalmente una donna libera. Meriam Yehya Ibrahim, accompagnata dal viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, che segue da tempo il caso della donna sudanese, è atterrata a Roma a bordo di un volo della presidenza del Consiglio. Il suo viaggio proseguirà poi per New York.
Ad attendere Meriam a Ciampino, il premier Matteo Renzi con la moglie Agnese ed il ministro degli Esteri, Federica Mogherini. “Oggi è un giorno di festa. Vi dirà tutto Pistelli che ha curato con straordinaria qualità questa operazione”, ha detto il presidente del Consiglio.
E proprio il viceministro degli Esteri ha fatto sapere che la donna e i suoi figli “stanno bene e sono felici di essere qui. Avranno qualche incontro importante nei prossimi giorni e poi ripartiamo per New York”. Il ministro Mogherini, che ha espresso “grande gioia” per l’arrivo della giovane sudanese, ha aggiunto che “abbiamo seguito il caso fin da prima che fosse nota la condanna e, grazie ad un grande lavoro fatto da tanti oggi, possiamo accogliere Meriam a Roma”.
Dopo il suo arrivo Meriam, insieme al marito e ai figli, ha incontrato Papa Francesco nella residenza di Santa Marta. Il colloquio è durato circa mezz’ora. Il Papa, ricevendola in un clima definito di “grande serenità”, l’ha ringraziata per la sua “testimonianza di fede” e la sua “costanza”, secondo quanto riferisce il portavoce padre Federico Lombardi.
La donna era stata liberata nel mese di giugno dopo una lunga mobilitazione internazionale, ma poco dopo era stata nuovamente fermata all’aeroporto di Khartoum per un presunto problema di documenti.
Il caso di Meriam era stato citato da Matteo Renzi, in occasione del suo discorso di inaugurazione del semestre europeo a Strasburgo. Parlando di Meriam e delle ragazze nigeriane sequestrate dagli islamisti di Boko Haram, il presidente del Consiglio aveva sottolineato: “Se non c’è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa”.
Soddisfazione per la risoluzione del caso anche da parte di Antonella Napoli, presidente dell’associazione Italians for Darfur, che ha seguito la vicenda dai primi momenti.