Omicidio Sagliano, inflitte tre condanne contro il clan Belforte

di Redazione

 Marcianise. Tre arresti, eseguiti dalla squadra mobile di Caserta, contro tre affiliati al clan Belforte, condannati per l’omicidio per concorso nell’omicidio di Francesco Sagliano, ucciso all’età di 33 anni il 3 ottobre 2003, a Marcianise.

Si tratta di Camillo Antonio Bellopede, 35 anni, condannato all’ergastolo, di Michelangelo Amato, 38 anni, e Antonio Zarrillo, 47 anni, entrambi di Capodrise, condannati alla pena di 30 anni. L’ordinanza di custodia cautelare rappresenta l’epilogo di indagini condotte dalla mobile, coordinate dalla Procura antimafia di Napoli, relative ad uno dei più brutali omicidi consumati dal clan dei “Mazzacane” nel contesto della faida che li contrapponeva, tra gli anni ‘90 ed i primi del 2000, al clan dei Piccolo, detti “I Quaqquaroni”, con i quali si contendeva il controllo delle attività illecite nel comprensorio di Marcianise, Caserta e comuni limitrofi.

Dalle indagini è emerso che Francesco Sagliano venne assassinato a colpi d’arma da fuoco perché, per conto dei Piccolo, aveva partecipato ad un’attività estorsiva in danno di un imprenditore già taglieggiato dagli emissari dell’opposto clan Belforte.

Particolarmente efferate furono le modalità dell’omicidio. Il gruppo di fuoco attese la vittima sotto l’abitazione della fidanzata, a Recale. Non appena la ragazza discese dalla vettura di Sagliano e varcò il portone dello stabile, la vettura con i killer tentò di bloccarlo, ma il giovane, accortosi della manovra, tentò la fuga. Ne nacque un lungo inseguimento attraverso le vie di Recale, Capodrise e Marcianise, dove Sagliano imboccò una strada ostruita da un cantiere per la realizzazione della rete fognaria, dove finì in una buca insieme all’auto degli inseguitori, che lo tamponò violentemente. I sicari, che durante l’inseguimento, sprezzanti del rischio di colpire inermi passanti, avevano sparato decine di colpi all’indirizzo del fuggitivo, raggiunsero e bloccarono il giovane che, probabilmente già ferito ad un fianco, aveva tentato la fuga a piedi, ma crollato in terra, venne finito a colpi di pistola nonostante implorasse pietà.

Uno degli assassini infierì ripetutamente sul volto del giovane con il calcio di un fucile. Subito dopo, poiché la vettura del gruppo non era più marciante, la stessa venne incendiata sul posto e, per la fuga, fu rapinata un Renault Clio ad un automobilista terrorizzato che aveva assistito all’agguato.

I tre erano già stati arrestati il 1 luglio 2011 insieme ad altri esponenti del clan (Pasquale Aveta, oggi collaboratore di giustizia, Antonio Della Ventura, Vincenzo De Simone, Vittorio Musone, Gaetano Piccolo “‘o ceneraiuolo”, Luigi Trombetta e Francesco Zarrillo, cugino di Antonio) ma il provvedimento restrittivo nei loro confronti venne annullato per un vizio di forma. Oggi, invece, la seconda sezione della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto ricorressero esigenze cautelari tali da fondare l’adozione di un provvedimento cautelare.

Amato è stato arrestato in aula, immediatamente dopo la lettura della sentenza, mentre Antonio Zarrillo è stato arrestato a Castel Volturno, in un noto ristorante, durante il pranzo nunziale della figlia, invece a Bellopede la misura è stata notificata in carcere, in quanto detenuto per altra causa.

La condanna pronunciata oggi conferma appieno la ricostruzione del delitto operata dalla squadra mobile di Caserta, diretta dal vicequestore Alessandro Tocco, confermata da attuali collaboratori di giustizia che all’epoca parteciparono all’agguato.

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