AVERSA. Di Adolfo Ferraro, storico direttore dellospedale psichiatrico iudiziario Filippo Saporito di Aversa, non si può dire certamente che non sia intimamente legato al suo lavoro.
Responsabile della struttura manicomiale-carceraria sin dal 1997 (dal 1980 era stato vice direttore sempre nella città normanna), ha sempre fatto di tutto per umanizzarla, in concomitanza con la legge Basaglia che prevedeva labolizione dei manicomi civili. Da parte sua un continuo denunziare, ed anche adoperarsi, per rendere il manicomio un luogo di cura e di recupero. Tantissime le iniziative in questo senso. Ultima, in ordine di tempo, quella del laboratorio teatrale che, poi, nello scorso inverno, ha portato gli internati a mettere in scena, al teatro Galleria Toledo, di Napoli, ai quartieri spagnoli, Noi aspettiamo (Godot?), liberamente tratto dal testo di Samuel Beckett.
Direttore Ferraro come giudica questo passaggio che, forse, definire epocale non è esagerato?
Si sta finalmente attuando quanto previsto dalla normativa vigente. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono sempre meno giudiziari e più ospedali. Da anni vado affermando che la sanità pubblica non può non farsi carico di persone, costrette, di fatto, ad essere tenute nella loro condizione di detenuti, nonostante non ne ricorressero più i presupposti. Il passaggio sarà, ovviamente, graduale. Da parte mia sono contento di essere passato dallamministrazione penitenziaria a quella sanitaria.
In pratica, Ferraro diventa una sorta di primario di quello che sarà un ospedale per pazienti lungodegenti. Quanti sono attualmente gli ospiti del Saporito di Aversa e come potrà cambiare in meglio la loro situazione?
Negli ultimi mesi, dopo i noti casi di cronaca, il numero di ricoverati era sensibilmente calato. Ora, siamo di nuovo a circa duecentosettanta ospiti. Un numero sproporzionato rispetto alla capacità ricettiva della struttura. Una situazione che, però, nel volgere di breve tempo cambierà. Infatti, essendo io responsabile della struttura dal punto di vista sanitario, potrò non accettare nuovi ricoverati (così come avviene in un normale ospedale quando non ci sono posti letto per nuovi malati, n.d.r.) e fare in modo che la degenza nel nosocomio sia a misura umana.