“Happy Ending”, mostra al museo “Biagio Greco”

di Redazione

 MONDRAGONE. Senza titolo è ormai lo spettacolo del quotidiano, senza senso il copione interpretato. Il “Teatro del Mondo”, ridotto a teatrino barcollante, sembra inabissarsi lentamente nelle acque melmose della riviera.

Rimane solo un appiglio, un baluardo legnoso, consumato dal flusso e riflusso della memoria, ma anche unico punto “precario” di “resistenza”, e, forse, chiave di lettura di questa mostra. Il fatto è che gli attori sono già fuggiti e la scena è stata subito occupata da grottesche comparse, nani, puttane e banchieri mascherati. Al posto dell’orchestra e del coro, si sono insediati politici e fantocci e ora intonano il canto quotidiano delle promesse e delle menzogne, mentre maghi, finanzieri e saltimbanchi, incantano il pubblico con giochi di prestigio e salti mortali. La commedia interpretata è sempre la stessa: un copione a lieto fine (“happy ending”), spot pubblicitario di un potere invisibile, soggiogante, globale, totale, onnipotente. Persino la morte è stata messa in scena, ma come un orpello decorativo, un soprammobile inutile, un incidente di percorso durante lo spettacolo che deve continuare, sempre uguale a se stesso. Il delitto esibito come normalità, come scotto da pagare in cambio di sicurezza e benessere. In cambio di un mondo di “carta moneta”, di una “democrazia universale” immobile e definitiva, una “pace perpetua” a colpi di sanzioni e di missili intelligenti.

Questo è lo spettacolo a cui rimanda la mostra, con le opere degli artisti: Elena Patrizia Dell’Andrea, Rocco Sciaudone, Pino Lauria, Salvatore Vargas, Dario Carmentano, Bernardo Pagliaro, e il duo Giuseppe Di Guida & Raffaele Vargas. Uno spettacolo già visto, ma come riflesso e deformato da un gigantesco specchio, doppio, artistico, simmetrico, che tenta di restituire tutto il grottesco, l’assurdo, l’incredibile tragedia comica della nostra realtà. La mostra, che si terrà nel museo”Biagio Greco” dal 10 agosto al 10 settembre, si interroga anche sulla sua stessa ragione d’essere: perché affannarsi tanto per un “teatrino” che, forse, vuole proprio andare a fondo?

Perché certa arte contemporanea si ostina a compiere atti di resistenza “eroica” mentre il sistema cerca continuamente di espellerla come vomito dopo un pasto indigesto? Sappiamo che vengono adottate strategie efficaci per neutralizzare gli effetti di ogni azione culturale di frontiera e ristabilire l’ordine costituito. Vengono utilizzati anticorpi efficaci come la distrazione, l’accecamento, il “doping” con un massiccio uso di farmaci integratori-inibitori sottoforma di compensi economici, successo, fama, onorificenze, affermazioni internazionali. Ma è proprio questo il punto nodale: i nostri artisti hanno scelto di farsi espellere, lavorano nella ”fabbrica dei veleni”, pensando a come rimettere nello stomaco dilatato del sistema le sostanze nocive che esso stesso produce.

In altri termini cercano di provocargli il vomito, la nausea, la diarrea. Sono indigeste, dunque, le installazioni, i video, le fotografie di questa mostra per ciechi. Nessun filo di Arianna ci conduce attraverso il suo oscuro labirintico percorso, impiccatevi con quel filo dicono, con Nietzsche, gli artisti. Impiccatevi con il filo della sicurezza, della vacuità del culto del successo personale, del culto delle “opere belle”, in un mondo che ci inganna con la grande illusione del “quarto d’ora di notorietà” per tutti, e dove la bellezza, ostentata, serve da copertura alle discariche di ogni genere e non è che uno dei tanti strumenti della macchina del consenso. E allora, a chi giova vantarsi dell’acutezza della propria vista quando si è in compagnia di ciechi?

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