Estorsione e corruzione, arrestato Brancaccio

di Redazione

Angelo BrancaccioORTA DI ATELLA. Stupore e incredulità ad Orta di Atella per l’arresto del loro ex sindaco Angelo Brancaccio. Brancaccio, infatti , primo cittadino della comunità ortese per ben due legislature, nelle sue competizioni elettorali ha fatto registrare sempre un elevato indice di consensi, tanto da farlo assurgere al più eletto sindaco nazionale (91% nel 2001) e a primo eletto in provincia di Caserta alle regionali del 2006. Consensi – commenta gran parte della cittadinanza – che stanno ad indicare quanto fosse stimato.

Per molti si tratterebbe di un errore giudiziario da risolvere in poco tempo. Dalla casa comunale di viale Petrarca, retta dalla giunta di centrosinistra guidata dal diessino Salvatore Del Prete, già vicesindaco degli esecutivi Brancaccio, nessuno commenta, ma si avverte grande amarezza e sgomento, anche per il coinvolgimento e l’arresto di altre cinque persone locali tra cui un dipendente comunale. I tanti, che tra le vie del paese hanno commentato l’accaduto, parlano dei cambiamenti radicali e positivi della cittadina atellana, che a seguito dell’approvazione del piano regolatore e una serie di interventi amministrativi, ha assistito all’incremento urbanistico che ha portato Orta ad un aumento della popolazione da diecimila a ventitremila abitanti. Non mancano, però, commenti critici, da parte di cittadini e forze politiche, per le innumerevoli costruzioni sorte come funghi e spesso senza tener conto che venivano a mancare gli spazi essenziali per un vivere sano in una cittadina che si sta sviluppando sotto ogni aspetto e non solo lungo la linea del cemento.

Il recordman delle polemiche

Angelo BrancaccioIl punto più alto della parabola lo ha vissuto in una notte di aprile di due anni fa. A via Mazzini, nella sede del comitato elettorale del recordman delle preferenze diessine, a metà spoglio si preparavano le bottiglie di Ferrari. Lui, ad un tratto, sorridente come un papa, esce sul balcone, acclamato con un tifo da stadio dai fedelissimi che si erano radunati giù in strada. Angelo Brancaccio il 4 aprile 2005 stava aggiungendo l’ultima corona ad una carriera politica vissuta da protagonista: primo (tra i casertani) eletto alla Regione con quasi ventimila preferenze, trionfante nel durissimo scontro interno al partito con l’ex segretario Adolfo Villani, una guerra personale ed elettorale che aveva lacerato la federazione in maniera irreversibile segnando probabilmente anche il destino di chi quella notte sembrava invincibile. Primatista di voti, Brancaccio, lo era sempre stato. Nella sua Orta, dal 2001 al 2006 aveva raggiunto la vetta nazionale superando il 90% dei consensi. Ma anche alla Provincia, ai tempi del regno di Ventre e del consociativismo strisciante, era stato il più votato toccando, nella sua zona, un ragguardevole 78%. Infine, non potendo più ricoprire la carica di sindaco, si era fatto eleggere consigliere comunale al suo paese con un altro primato: 1200 voti, una enormità per un centro così piccolo. Amministratore per vocazione, sempre attento al mondo dell’impresa, Brancaccio è stato protagonista anche della vita interna del suo partito pur non ricoprendo mai cariche apicali. Così anche di recente, in tutte le storie che interessano i Ds, dalla verifica della giunta di corso Trieste all’ultimo ferocissimo congresso al Ciapi, gioca un ruolo di primo piano. A lui fa capo una corrente codificata persino in un’associazione («Sinistra per Terra di lavoro») che, lanciata dopo le elezioni regionali, vede l’adesione di assessori, consiglieri, sindaci e vicesindaci. A novembre dell’anno scorso Brancaccio allunga il passo e apre le ostilità contro Bassolino. Motivo, l’adesione del sindaco di Sant’Arpino Giuseppe Savoia ai Ds: per lui, che contro Savoia stava conducendo una lotta senza esclusione di colpi, un vero affronto di cui – a torto o a ragione – faceva carico al Governatore, che avrebbe voluto così «ridimensionare» l’atellano. La campagna martellante scatenata da Brancaccio contro Bassolino, amplificata da alcuni giornali locali, finì allora per investirlo del titolo di difensore della casertanità contro il napolicentrismo. Una battaglia, alla fine, però, persa. Come alla fine perde pure il braccio di ferro per la verifica in Provincia: il rimpasto con cui si è conclusa provvisoriamente assegna le deleghe più importanti a Villani, suo antico nemico, uno smacco a cui l’ex sindaco di Orta reagisce con una serie di interventi al vetriolo nei confronti del presidente della Provincia. Ma l’elenco delle polemiche in cui si lancia non finisce qui: obiettivi privilegiati il segretario della federazione Greco e il capogruppo alla provincia Pietro Ciardiello. Nel partito, nel frattempo, montava da mesi un una richiesta di «moralizzazione», di cui si era fatto interprete il gruppo 17 novembre con due assemblee affollatissime che reclamavano uno stop al connubio politica-affari presente anche a sinistra. Al congresso, forte dell’alleanza con un folto gruppo anti-Greco, Brancaccio cerca di sfondare le linee nemiche lanciando la candidatura del giovane Nicola Ucciero: l’assemblea finisce in rissa e alla fine si trova un accordo solo per designare i delegati regionali rinviando a dopo le amministrative il secondo tempo. L’ultima fiammata all’inizio del mese, quando viene denunciato dal consigliere comunale del Prc Ancangelo Roseto per aggressione: un episodio presentato in maniera opposta dal consigliere regionale ma che sembra essere stato innescato dai commenti dell’esponente del Prc sull’arresto dei fratelli Orsi, accusati di truffa aggravata e di favoreggiamento della camorra nello scandalo del Ce4. I due arrestati, infatti, risultavano iscritti alla sezione diessina di Orta di Atella.

Estorsione e corruzione, arrestato Brancaccio

La sua casa in Municipio, a Orta di Atella. Il suo paese un regno, dove governava da monarca assoluto dispensando favori, licenze, posti di lavoro e ricevendo in cambio il consenso di tutti, o quasi, i suoi concittadini. Angelo Brancaccio, 46 anni compiuti da qualche mese, l’uomo che nelle urne superava il 90 per cento, il sindaco arrivato in consiglio regionale forte di ventimila preferenze, da ieri mattina è in carcere. Lo hanno arrestato i carabinieri del Reparto operativo di Caserta, e con lui sono finiti in manette Angelo Brancaccioi suoi più stretti collaboratori, coloro i quali gestivano l’ufficio tecnico di Orta, istruivano i fascicoli delle concessioni edilizie, rilasciavano le autorizzazioni. Tecnici e non solo. Di quel sistema di potere che, sottolinea il gip nell’ordinanza di custodia cautelare, da persona scaltra gestiva dimostrando una «notevole capacità criminale», facevano parte anche un poliziotto in servizio nella sezione di polizia giudiziaria della Procura di Santa Maria Capua Vetere e un costruttore della zona, beneficiato con l’autorizzazione a costruire un parco residenziale al confine con Frattaminore. Sei i destinatari delle misure cautelari (quattro in carcere, due ai domiciliari) firmate dal gip Paola Piccirillo che ha parzialmente accolto le richieste fatte dal capo della Procura, Mariano Maffei, e dai pm Alessandro Cimmino e Luigi Landolfi. Pesanti le accuse: si va dalla estorsione (contestata allo stesso Brancaccio, che risponde anche di peculato, abuso d’ufficio, falso e corruzione) alle lesioni personali, dalla concussione alla truffa e alla calunnia. Reato, questo, ipotizzato a carico di Castrese Rennella, 41 anni, assistente capo della polizia: quando aveva scoperto di essere intercettato, aveva denunciato un collega accusandolo di aver violato il sistema informatico per rivelare notizie coperte dal segreto, cosa che avrebbe fatto lui stesso, invece, in almeno due occasioni. E di calunnia (oltre che di estorsione e lesioni), risponde Antonio D’Ambra, 48 anni, costruttore di Frattaminore, che aveva denunciato un suo conterraneo e concorrente, l’imprenditore Francesco Antonio De Prete. Di corruzione, falso e abuso d’ufficio rispondono i responsabili tecnici del Comune di Orta di Atella: Nicola Iovinella, 36 anni; Nicola Arena, 55 anni; Salvatore Ragozzino, 59 anni. Tre le ulteriori richieste di arresto rigettate dal gip, che ha ritenuto insufficienti gli elementi forniti dalla pubblica accusa: a carico di un altro poliziotto, sempre in servizio presso la Procura di Santa Maria Capua Vetere; e di due dipendenti comunali. Esclusa anche l’ipotesi di associazione per delinquere, che era stata ipotizzata dalla pubblica accusa. Nell’indagine, che ha abbracciato un arco temporale di oltre un anno ed è documentata da intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che dalla denuncia delle parti offese (tra le quali il costruttore Del Prete), sono confluiti anche alcuni stralci di un’indagine della Dda di Napoli. Riguardano una lottizzazione, cento appartamenti che doveva costruire l’imprenditore Felice Pagano e di cui ventiquattro sarebbero stati riservati «ai politici», come dice lui stesso parlando a telefono. Ma il gip non ha ritenuto dimostrata l’identificazione di Brancaccio quale destinatario di quel generoso regalo. È in quello stralcio che compare anche la strizzata d’occhi alla camorra. Tra gli interlocutori telefonici dei protagonisti (o di alcuni dei protagonisti) dell’inchiesta, anche parenti stretti del capo dei Casalesi, Francesco Schiavone-Sandokan. E non certo nel ruolo di minacciosi antagonisti. Uno spezzone d’inchiesta nel quale è indicato il punto di contatto da politica, gestione degli affari e malavita organizzata: rapporti obliqui (e incontri riservati in ristoranti del basso Lazio), che interessano gli investimenti nel campo dell’edilizia, della grande distribuzione e dello smaltimento dei rifiuti. Ma questa è un’altra storia. E un’altra inchiesta.

«Attento a te, sappiano con che macchina giri»

Francesco Antonio Del Prete doveva andare via. Doveva dare il suo consenso allo sconfinamento del costruttore D’Ambra, doveva far agire il manovratore e, soprattutto, doveva tacere. Forse, se si fosse comportato bene, prima o poi avrebbe avuto qualcosa in cambio. O forse no. Ma D’Ambra dove costruire, e subito. E lui doveva firmare. Del Prete nicchiava, e quelli lo minacciavano. Del Prete proseguiva ostinato sulla sua strada, e D’Ambra lo picchiò. Arrivò anche il sindaco, Angelo Brancaccio, a dire la sua: «Vedi quello che fai. Tu stai in mezzo alla strada e noi conosciamo la tua macchina…». Sapeva, Del Prete, che non poteva tirare Angelo Brancacciotroppo la corda. Un anno prima, nel 2003, proprio Antonio D’Ambra gli aveva costruito addosso l’accusa di tentata estorsione e lo aveva fatto arrestare. Era una calunnia. Il piccolo imprenditore di Frattaminore fu costretto a cedere. Era la primavera del 2004. È questo l’episodio più inquietante, tra quelli contestati ad Angelo Brancaccio, segretario del consiglio regionale della Campania, eletto ad aprile di due anni fa nelle liste dei Ds con oltre diciannovemila preferenze. A quell’epoca Brancaccio era il più potente sindaco dell’agro aversano, forte di quella messe di consensi guadagnata in anni e anni di militanza politica e poi, ipotizzano gli inquirenti, di gestione clientelare della cosa pubblica. Un monarca assoluto, nella sua Orta di Atella, che pretendeva fedeltà totale dagli elettori ma che a loro estendeva i frutti del suo potere. E le protezioni che si era assicurato negli uffici giudiziari. Al poliziotto Castrese Rennella, per esempio, non aveva chiesto solo informazioni riservate per se stesso. Voleva essere informato di qualunque indagine fosse stata aperta sui suoi stretti collaboratori, sui suoi fedeli elettori, sui suoi interlocutori privilegiati. E Castrese Rennella eseguiva: due gli accessi non autorizzati al registro generale, nel corso dell’indagine che si è conclusa con il blitz di ieri; non si sa quanti in precedenza, prima di finire sotto l’osservazione dei carabinieri del Reparto operativo di Caserta. Favori che Brancaccio ricompensava sovvenzionando le umane debolezze: ragazze per una serata allegra, la casa dove incontrare l’amante, la ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, i mobili nuovi, l’assunzione di parenti in aziende che controllava, sia pur indirettamente. Ma se con una mano dava, con l’altra prendeva. Anche cose di poco conto ma che dimostrano, nello scenario rappresentato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, l’identificazione assoluta tra la sua persona e la casa comunale, tra se stesso e la cosa pubblica. Tra le accuse mosse ad Angelo Brancaccio, anche il peculato. Aveva utilizzato fino a giugno del 2006, data di fatturazione dell’ultima bolletta, un telefono cellulare intestato al Comune. Era consigliere regionale già da un anno, era rimasto in carica per altri sei mesi lasciando il testimone a Salvatore Del Prete il 12 ottobre del 2005. Nel frattempo, l’utenza aveva anche cambiato numero, ma era rimasta sempre in uso a lui e alla moglie. Piccolezze, si dirà, rispetto alla gravità delle contestazioni. Ma sono queste «piccolezze» ad aver fatto scrivere alla Procura e al gip che il metodo-Brancaccio era, in realtà, un metodo criminale.

fonte: Il Mattino

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